Colpa E Vergogna: Ruolo Delle Emozioni Nella Crescita Personale E Nella Socialita’

Colpa E Vergogna: Ruolo Delle Emozioni Nella Crescita Personale E Nella Socialita’

Le emozioni primarie come paura e rabbia sono necessarie in quanto orientano le relazioni tra l’individuo e l’ambiente consentendo di adottare comportamenti automatici necessari alla sopravvivenza (ad esempio: pericolo=fuga/attacco). Le emozioni auto-consapevoli o morali come vergogna, colpa ma anche orgoglio, servono invece ad un’altra importante funzione poiché scaturiscono dalla riflessione su sé stessi e dalla valutazione di sé stessi. Visto che nascono da una valutazione, queste emozioni forniscono una punizione immediata al comportamento (in risposta al senso di colpa o vergogna) oppure un premio (in risposta al sentimento di orgoglio). Il valore e l’intensità di queste emozioni si basano quindi sia sulla valutazione “etica” del nostro comportamento (ad esempio, il suo effetto sugli altri), sia sulla valutazione di ciò che quel comportamento rivela su noi stessi (ad esempio, il nostro carattere o il nostro valore) (Tangney et al., 2007).

Nonostante colpa e vergogna sorgano da una autovalutazione, le due emozioni devono essere distinte. Nella colpa l’attenzione è focalizzata su un’azione (o mancata azione) specifica e la valutazione si concentra su quel singolo comportamento. La persona prova rimorso o rimpianto per aver fatto quella specifica azione sbagliata ed è motivata a mettere in atto azioni di riparazione del torto commesso. Diversamente dalla colpa, nella vergogna l’oggetto della valutazione è sé stessi nella sua globalità. Questo rende l’esperienza della vergogna molto più dolorosa e devastante poiché, se nella colpa l’oggetto della valutazione è un singolo comportamento che può essere cambiato o riscattato, nella vergogna è il sé nella sua globalità ad essere valutato negativamente proprio da sé stessi.

 

La vergogna ed il senso di colpa, come anche l’imbarazzo e l’orgoglio, funzionano quindi come un barometro emotivo fornendo un feedback immediato e saliente sulla nostra accettabilità sociale e morale. Inoltre non è necessario che il comportamento si verifichi effettivamente affinché la pressione delle emozioni abbia effetto. Le persone possono anticipare le loro probabili reazioni emotive (ad esempio senso di colpa oppure orgoglio) mentre immaginano e considerano le alternative comportamentali. Pertanto le emozioni morali, o auto-coscienti, possono esercitare una forte influenza sulla nostra vita poiché forniscono un riscontro critico sulle nostre scelte e comportamenti. Questo riscontro critico può assumere la forma di vergogna anticipatoria, senso di colpa oppure orgoglio.

Alcuni importanti studiosi affermano che “la colpa è qualcosa che accade tra le persone piuttosto che solo al loro interno” (Baumeister, Stillwell e Heatherton ,1994, pag. 243). Secondo gli Autori la colpa ha natura sociale in quanto è un fenomeno interpersonale che è funzionalmente e causalmente legato ai rapporti tra le persone.  La colpa è una forma di angoscia emotiva distinta dalla paura e dalla rabbia ed è basata sulla possibilità che si possa aver commesso un torto o che altri possano avere la percezione di tale torto. Allo stesso modo possiamo distinguere la colpa dalla paura della punizione; questo perché ci si può sentire in colpa anche quando la probabilità della punizione è assente e l’esperienza della paura delle conseguenze non si verifica. Anche la sola consapevolezza di aver fatto un torto ad un’altra persona è sufficiente a provocare il senso di colpa, anche se la vittima non è in grado di rivalersi o vendicarsi.

Il senso di colpa è quindi utile poiché motiva i modelli di comportamento che migliorano le relazioni, ovvero aiuta a far rispettare le norme comuni che impongono la preoccupazione ed il rispetto reciproco in assenza di un ritorno egoistico; quindi punisce e riduce la frequenza delle trasgressioni interpersonali. Inoltre, il senso di colpa può funzionare come una tecnica di influenza interpersonale che consente anche ad una persona con minor potere nella relazione di ottenere ciò che vuole. La terza funzione della colpa è ridistribuire il disagio emotivo tra chi ha fatto un torto e chi lo subisce: dopo una trasgressione la vittima è sofferente mentre il trasgressore sta beneficiando della propria trasgressione. Attraverso l’esperienza del senso di colpa questo beneficio per il trasgressore diminuisce mentre la vittima può sentirsi meglio e ciò accade perché vedere il trasgressore che si sente colpevole rappresenta per la vittima un segnale dell’impegno del colpevole nella relazione; la vittima può interpretarlo come un impegno implicito a non ripetere la trasgressione e come promessa di rimediare all’offesa e fare ammenda.

Per quello che riguarda l’emozione della vergogna, autori autorevoli (Ahmed, Braithwaite, 2006) distinguono due diversi tipi di gestione di questa emozione: il riconoscimento della vergogna o la sua dislocazione. Nel riconoscimento della vergogna si ammette che ciò che si è fatto è sbagliato e disonorevole e ciò coinvolge l’espressione del rimorso, mentre il dislocamento della vergogna sposta sulla vittima la colpa e la rabbia. La prima strategia consentirà al trasgressore di andare oltre lo sbaglio commesso perché sarà consapevole delle conseguenze dannose per sé e gli altri; la seconda strategia, ovvero respingere il sentimento di vergogna spostando la colpa, amplificherà la possibilità del ripetersi della trasgressione perché l’azione e le conseguenze personali non sono state messe in relazione.

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Tangney, J. P., Stuewig, J., & Mashek, D. J. (2007). What’s moral about the self-conscious emotions? In J. L. Tracy, R. W. Robins, & J. P. Tangney (Eds.), The self-conscious Emotions: Theory and Research (pp. 21-37). New York: The Guilford Press.
  2. Baumeister, R. F., Stillwell, A. M., & Heatherton, T. F. (1994). Guilt: An interpersonal approach. Psychological Bulletin, 115, 243–267.
  3. Ahmed E., & Braithwaite V. (2006): Forgiveness, reconciliation and shame: three key variables in reducing school bullying. Journal of Social Issues, 62(2), 347–370.

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